martedì 11 ottobre 2016


LA PARABOLA DEL SEMINATORE
In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.
Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.
Parola del Signore (+ Dal Vangelo secondo Luca)

Il nostro nuovo anno è iniziato così: Buon Volo, Buona Rotta, Buona Strada!





sabato 16 gennaio 2016


CHI NON VIVE PER SERVIRE
(di Paola Fedato)

“Quello che dovete sapere di me…” cominciano così le lettere che circa 900 tra i rover e le scolte che hanno partecipato alla Route Nazionale R/S  del 2014 hanno scritto per raccontarsi e che l’Agenzia “Codici” ha raccolto per provare a restituirci un quadro d’insieme di questa generazione di ragazzi. Sfogliando le pagine di questo straordinario esperimento narrativo ci si imbatte in passaggi davvero intensi che strapperebbero un sorriso soddisfatto anche al più severo capo clan e capo fuoco: 
“Mi piace essere scout anche senza uniforme, mi piace rendermi utile senza che nessuno sappia del mio gesto, mi piace sapere che quella persona alla quale ho fatto un favore o alla quale ho donato qualcosa, sorrida senza sapere il mittente. E forse è questo quello che ci contraddistingue dalla altre persone. Non che abbiamo super poteri, ma sicuramente forza e coraggio” (F. 18 anni, Lazio).
Quello che traspare da questa, come da molte altre citazioni, è il segno profondo che lo Scautismo lascia nella personalità di questi giovani uomini e donne che si scoprono felici di essere utili e coraggiosi nel perseguire il bene.
L’opportunità di incontrare, nelle parole che hanno scelto per raccontarsi, le storie personali di alcuni dei protagonisti della Route ha confermato una convinzione che ho maturato mettendo a confronto il mio servizio di capo fuoco con la mia esperienza professionale di educatrice ed insegnante. La proposta educativa dello scautismo offre ai ragazzi la possibilità di vivere esperienze autentiche di relazione e protagonismo che fanno crescere in loro un’apertura all’altro e un senso di responsabilità verso il mondo davvero fuori dal comune.
Il Servizio per loro non è semplicemente una porzione di tempo libero da dedicare al volontariato; per i rover e le scolte delle nostre unità il servizio è uno stile, una chiave interpretativa dell’esistenza, un valore fondante che può dare senso alle scelte di una vita.
“Il mio desiderio è aiutare gli altri, sfondando le barriere della povertà, delle intolleranze e delle ingiustizie. E se questo è il mio sogno sicura che tanti altri miei coetanei ne abbiano altrettanti” (F., 19 anni, Piemonte).

Per chi vuole leggere il resto l’articolo tratto dalla Rivista per Capi dell'AGESCI, n. 4/2015, "PROPOSTA EDUCATIVA" può cliccare nel link sottostante:


http://www.agesci.it/download/riviste/proposta_educativa/2015/2015-15-Proposta-educativa-4.pdf




giovedì 18 giugno 2015

                                "INSIEME SI FA"

La Comunità capi e i genitori: quale relazione?
Molto spesso, per un normale e buon Capo Scout, pensare a quale relazione avere con i Genitori dei ragazzi che segue può rappresentare un peso, un fastidio, una cosa in più. Ciò avviene perché la concentrazione è sul ragazzo, sulla relazione con lui/con loro, sulle attività che possano essere le più entusiasmanti e formative, per cui è comprensibile avere un’emozione negativa quando ci si deve interfacciare con i genitori. Quando poi questi presentano tutte le loro problematiche, le loro incertezze, i loro dubbi o le loro paure, si rischia anche di sentirli come nemici.
Eppure per capire i ragazzi e i loro comportamenti dobbiamo conoscere almeno un po’ il contesto da cui provengono; se vogliamo proporre attività entusiasmanti dobbiamo avere l’alleanza dei Genitori; se non vogliamo essere criticati, ostacolati, boicottati, dobbiamo essere in grado di saperci relazionare anche con loro.

                                 
 
Impegno per la Formazione
La Comunità Capi può avere un ruolo determinante nell’aiutare i Capi e gli Staff a migliorare nella loro capacità di comunicare agli adulti. Il collegamento con i Genitori riguarda sostanzialmente il “ricevere informazioni” sul ragazzo e il “dare informazione sul ragazzo e sulle attività”.
I momenti da progettare sapientemente sono gli incontri con i genitori di inizio, metà e fine anno, la preparazione delle esperienze forti dei campi estivi e/o invernali e come condividere con loro la nostra "Intenzionalità Educativa".

                                 

Intenzionalità educativa
Per far crescere la consapevolezza del "Valore Educativo del Metodo Scout" perché diventi sempre più intenzionale, è importante che a fronte di ogni attività che si propone si possa definire l’obiettivo educativo chiedendosi:
- Quali capacità del ragazzo sviluppa?
- A quali bisogni del ragazzo risponde?
In questo modo aumenterà la capacità di dare ragione alle nostre scelte educative, perché se siamo consapevoli della portata educativa delle nostre proposte allora siamo anche in grado di trasmetterle ai genitori e ciò favorirà l’alleanza con loro al nostro "Progetto Educativo" e li farà crescere perché
stimolerà anche loro a rispondere ai bisogni dei loro figli.

                                     
                                                    Campo Estivo 2014 Capo Comino
Impegno concreto
Per mantenere un collegamento e un’alleanza con i genitori in occasione di uscite e di campi è importante comunicare (mail) parallelamente al programma delle attività del giorno anche gli obiettivi educativi di quell'attività.
Primo obiettivo è che i genitori partecipino all’incontro. Per favorire questo facciamo in modo che sia sempre il ragazzo al centro.


Tratto da una articolo pubblicato sul n. 6 di "Proposta educativa" - Rivista per gli educatori dell'AGESCI - di Dario Seghi - Psicologo e Psicoterapeuta:

Per saperne di più:    http://www.agesci.it/downloads/proposta_educativa_2.pdf 

sabato 21 giugno 2014

CI VUOLE UN BEL CORAGGIO..... per fare i Capi Scout!



 Davvero ci vuole coraggio per fare i capi scout? 
Sì, anche se non ci viene spontaneo ricordarlo. Quando capita di porci la domanda “Ma chi me lo fa fare di fare il capo?!”, la risposta “Perché sono coraggioso” non è la prima che viene in mente. Epperò, tutte le altre risposte che ci diamo (“Perché amo il servizio”, “Perché educare è il mio modo per lasciare il mondo un po’ migliore” ecc.) a ben guardare hanno nel fondo quella motivazione di cui non sempre siamo consapevoli ma che è bene riconoscere: noi siamo capi perché siamo coraggiosi. Perché ci vuole coraggio a mettere tanto del nostro tempo (quindi tanta della nostra vita) a disposizione degli altri.

Ci vuole coraggio per “dare senza contare”
Senza contare le ore dedicate alle riunioni con i ragazzi, le serate passate agli incontri di staff, di Comunità Capi o in Zona, i giorni e le settimane intere impiegate per i campi delle unità, per le Route o per i Campi di formazione… Ci vuole coraggio per fare tutto questo anche quando l’entusiasmo si attenua e prevale la sensazione dello sforzo e della fatica. Allora, insieme al coraggio, vengono fuori anche il nostro carattere, le nostre convinzioni, la nostra tenacia… Ci vuole coraggio, a volte, per non mollare!



Ci vuole coraggio a fare gli educatori e a trasmettere i valori in cui crediamo quando tutto intorno a noi sembra “remare contro”; quando è chiaro che stiamo andando controcorrente e non sappiamo quanto i nostri sforzi riusciranno a orientare le scelte dei nostri ragazzi nella direzione che vorremmo.

Educare oggi significa far nascere nel cuore dei ragazzi e dei giovani l’urgenza di una prospettiva nuova, che li faccia guardare con fiducia al futuro e che li aiuti ad affrontare e a dare risposta a problemi e interrogativi che sanno di non potere rimandare all’infinito...
Ma per fare questo – oltre ad avere già percorso per primi la strada sulla quale si vuole guidare anche i nostri ragazzi e le nostre ragazze – ci vuole coraggio! Ed è un coraggio che i ragazzi e i giovani spesso non riescono a darsi da soli: occorre aiutarli, fare intravvedere la bellezza di un cammino che ha condotto noi e può condurre anche loro ad avere maggiore sicurezza, maggiore serenità vera, non la tranquillità ingannevole che viene dal non voler affrontare i problemi.



Ci vuole forse ancor più coraggio nel momento in cui l’essere capi credenti sollecita direttamente le nostre scelte in campo morale ed esige una coerenza talvolta non facile, che viene sentita come un peso insopportabile, perché ancora ci pone nella condizione di chi procede contro corrente.

A volte ci vuole il coraggio di portare il peso dell’incoerenza per potere proseguire nel cammino della fede, che è molto più grande e molto più luminoso di qualsiasi contraddizione.
Ed è importante che i ragazzi percepiscano, accanto alla nostra debolezza, anche tutta la forza del coraggio che ci rende perseveranti. Perché questo coraggio è contagioso e aiuta ad avere la forza della sincerità e dell’impegno, con tutta la fatica che questo può comportare.





"Ci vuole coraggio a fare i capi, certo. Ma guai a fare i capi senza coraggio: saremmo inutili e persino dannosi."

Stralci dell'articolo dell'articolo di Claudio Cristiani, componente della Redazione di "Scout Proposta Educativa" (Periodico dei Capi educatori dell'AGESCI) - Pubblicato sul N. 2/2014 della rivista.

Per chi volesse leggere tutto l'articolo...... ecco il Link - http://www.agesci.org/downloads/pe_2_2014.pdf



giovedì 13 febbraio 2014

"Dallo Scoutismo indicazioni utili per come deve cambiare la Scuola per formare i leader di domani"


Gli atteggiamenti di partecipazione civica e di leadership si apprendono con l’esperienza, lo dimostra un recente studio che confronta la realtà della Scuola Italiana con quella dello Scoutismo. 


            In questa prospettiva, si colloca una Ricerca effettuata da Emiliane Rubat du Merac* che ha coinvolto 600 studenti e 231 ragazzi scout, frequentati il biennio della scuola secondaria di secondo grado a Roma, che ha lo scopo di identificare quali aspetti del contesto scuola favoriscano la formazione della leadership. 
Con leadership intendiamo un processo che coinvolge sia il leader sia gli altri membri del gruppo, implica valori, abilità e competenze, che vengono appresi, ed è generatore di cambiamenti positivi.
            


SCOUTISMO METODO ATTIVO

            Il lavoro di ricerca confronta la realtà della Scuola Italiana con quella dello Scoutismo, perché il metodo scout si propone di sviluppare nei ragazzi leadership e valori morali attraverso "metodi attivi".
             Dalla lettura dei dati risulta che, nel confronto, gli scout ottengono medie più alte in tutte le scale di leadership e queste differenze sono statisticamente significative. Le dimensioni che differenziano di più i due gruppi sono, il valore attribuito alla cittadinanza attiva, la collaborazione, la capacità di gestire il disaccordo e la capacità di guidare altri. 
             Questi atteggiamenti implicano valori morali quali il rispetto, il senso di responsabilità e affidabilità, la capacità di organizzare il lavoro e di motivare gli altri.




ORGANIZZAZIONE E CLIMA SOCIALE


             I risultati dell’indagine indicano che i due contesti (scuola e gruppo scout) sono percepiti in modo diverso dai due gruppi, soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione e il clima sociale:

  • Gli scout avvertono un rapporto di fiducia e stima reciproca con gli educatori, sentono di far parte di un gruppo dove le proposte sono accolte, dove vengono presentate cose stimolanti e affidate responsabilità. 
  • Gli studenti hanno una percezione del contesto meno positiva, il lavoro è soprattutto individuale, le occasioni di attività che creano coesione e collaborazione sono limitate. 


SCOUT PIU' RESPONSABILI

                   Più dell’80% degli studenti dichiara di non avere avuto responsabilità a scuola, gli altri parlano di esperienze a volte poco rilevanti o remote (capo classe alle elementari, responsabile delle luci per uno spettacolo, raccolta di soldi per una gita, ecc.).
Tuttavia, sebbene le responsabilità conferite agli studenti siano di relativo valore, il solo fatto di averne avute ha un impatto, statisticamente significativo, sui valori e capacità di leadership. 
                  Gli scout, invece, hanno avuto quasi tutti esperienze di responsabilità (l’83% come caposquadriglia o vice) che comportano la guida di un gruppo di ragazzi. 


I RISULTATI

Dai primi risultati emerge la necessità di rivedere il modello organizzativo della scuola, che lascia margini molto esigui a una didattica attiva, alla partecipazione e alla responsabilità.
Il confronto con lo Scoutismo indica che esistono modelli dai quali è possibile trarre indicazioni per ottenere risultati nella preparazione dei giovani a essere cittadini attivi e leader responsabili.


Laureata in Pedagogia e Scienze dell'educazione (Università di Roma la Sapienza) e in Psicopedagogia (Università Psicopedagogica di Mosca-MGPPU), sta completando il dottorato di Ricerca in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Roma Tre. Collabora per la ricerca con la Loyola University di Chicago e con le Università di Porto e di Mosca.

Per saperne di più:

http://www.educationduepuntozero.it/organizzazione-della-scuola/come-deve-cambiare-scuola-formare-leader-domani-4093744411.shtml

http://www.educationduepuntozero.it/organizzazione-della-scuola/leadership-collettiva-strategie-attuare-scuola-4093115591.shtml



sabato 1 febbraio 2014

"Mi rivolgo a voi genitori, insegnanti, catechisti, educatori..."



Mi rivolgo a voi genitori, insegnanti, catechisti, educatori...



"Ricordatevi: l’educazione è cosa di cuore!
Amate i bambini, i ragazzi, i giovani!
Amateli perché sono di Dio.
L’amore deve esprimersi nelle parole, nei gesti e persino nell’espressione del volto e degli occhi.
Credo sia importante allora capire di quale amore dobbiamo amarli, perché..........
Se vivono nel rimprovero, diverranno più intransigenti
Se vivono nella serenità, diverranno più equilibrati
Se vivono nell’incoraggiamento, diverranno più intraprendenti
Se vivono nell’apprezzamento, diverranno più comprensivi
Se vivono nella lealtà, diverranno più giusti
Se vivono nella chiarezza, diverranno più fiduciosi
Se vivono nell’amicizia, diverranno veramente amici per il loro mondo Se vivono nella fede, diverranno cristiani felici e fieri di esserlo. Bisogna amare ciò che piace ai giovani
e i giovani ameranno ciò che piace ai loro educatori!
Ogni giorno, ve lo assicuro, per voi prego.
Vivete felici e il Signore sia con voi tutti, sempre!"
                                   
                         Don Bosco Padre e Maestro dei giovani



venerdì 17 gennaio 2014

Gli scout dell’Agesci sull’Evangelii Gaudium:

«Francesco ci chiama a essere veri educatori»
L’Evangelii gaudium sollecita l’identità più profonda dell’Agesci e rilancia a guide e scout cattolici italiani la sfida di sapere essere autentici educatori in ascolto del mondo con i suoi rapidi cambiamenti. Un ascolto che fonda quella pedagogia del "fratello maggiore", fatta di condivisione e accompagnamento, in sintonia con il "carisma" dell’associazione. Ne sono convinti Marilina Laforgia e Matteo Spanò, presidenti del Comitato nazionale dell’Agesci.


Che cosa vi ha colpito dell’esortazione apostolica di papa Francesco come scout e guide?

La Evangelii gaudium nella sua interezza e sin dalla introduzione ci "colpisce" e ci interpella. Tuttavia, forse prima che altri richiami, l’affermazione «i laici sono l’immensa maggioranza del popolo di Dio» da un lato sollecita la memoria delle motivazioni e delle riflessioni che hanno condotto l’Agesci, a partire dal 1976, ad assumere un ruolo attivo e propositivo nell’ambito del laicato cattolico e quindi della Chiesa italiana e dall’altro rafforza la consapevolezza di quanto l’Agesci possa fare nella e con la Chiesa per il mondo contemporaneo, nell’evangelizzazione di una società che si va trasformando a una velocità finora impensabile.



Vi sentite coinvolti quindi soprattutto nell’invito a una nuova missionarietà?
Sì, l’immagine missionaria della Chiesa, come Chiesa "in uscita", comunità di discepoli che prendono l’iniziativa, che accompagnano, che fruttificano, che festeggiano, esalta, in maniera sorprendente per noi, alcuni aspetti della nostra pedagogia e illumina il valore di alcuni fondamenti e strumenti del metodo educativo dello scautismo (pensiamo, per esempio, allo «spirito dell’impresa» che caratterizza la vita delle squadriglie di esploratori e guide). Nel richiamo a essere «realisti, ma senza perdere l’allegria, l’audacia, la dedizione piena di speranza» riconosciamo l’immagine delle Sentinelle di positività che abbiamo scelto di incarnare - a partire dal Progetto nazionale che sta orientando il cammino dell’Agesci in questi anni - per stare da cristiani nelle città, da educatori che accompagnano i piccoli e i giovani a riconoscere strade e prospettive per il futuro, e che a loro devono insegnare la forza della speranza e il coraggio della fedeltà.



(Intervista di Matteo Liut tratta dal sito del quotidiano L'Avvenire del 17.1.2014)


Il testo dell'esortazione apostolica di Papa Francesco "Evangelii Gaudium"

lunedì 23 dicembre 2013

AUGURI DI NATALE E FELICE ANNO NUOVO


                                        La Comunità Capi


               “Natale è vicino. In questi giorni che precedono la nascita del Signore la Chiesa, come Maria, è in attesa di un parto. Anche Lei sentiva quello che sentono tutte le donne in quel tempo. Sente queste percezioni interiori nel suo corpo, nella sua anima che il figlio sta arrivando. Maria sente nel cuore che vuole guardare il volto del suo Bambino.   Noi come Chiesa accompagniamo la Madonna in questo cammino di attesa e quasi vogliamo affrettare questa nascita del Signore. Tutti i giorni dell’Avvento noi, la Chiesa, come Maria, siamo vigilanti nell’attesa. E la vigilanza è la virtù del pellegrino. Noi tutti siamo pellegrini! E mi domando: siamo in attesa o siamo chiusi? Siamo vigilanti o siamo sicuri in un albergo, lungo il cammino e non vogliamo più andare avanti? Siamo pellegrini o siamo erranti? Per questo la Chiesa ci invita a pregare questo 'Vieni!', ad aprire la nostra anima e che la nostra anima sia, in questi giorni, vigilante nell’attesa. Vigilare! cosa succede in noi se viene il Signore o se non viene? Se c’è posto per il Signore o c’è posto per feste, per fare spese, fare rumore … La nostra anima è aperta, com’è aperta la Santa Madre Chiesa e com’era aperta la Madonna? O la nostra anima è chiusa e abbiamo attaccato sulla porta un cartellino, molto educato, che dice: 'Si prega di non disturbare'!”
                         
                                                                                      Papa Francesco

venerdì 13 dicembre 2013

UN CALCIO ALL'IMPOSSIBILE: EDUCARE AGLI AFFETTI



Fra le tante sfide dell’educare “all’uomo e alla donna della partenza” oggi, forse la più difficile, è quella che riguarda le relazioni interpersonali e l’affettività. Pedagogisti, sociologi, genitori, insegnanti, la Chiesa stessa, si interrogano su come aiutare i ragazzi a crescere in modo sereno e realizzante in quest’ambito.
L’Agesci ha una esperienza molto ricca al riguardo (molti contributi si trovano raccolti nel Quaderno “non è solo stare insieme” [1] e una riflessione aggiornata è anche nel “Progetto Nazionale 2012-2106 [2]) perché lo Scautismo fin dai primi passi, con B.-P. volendosi occupare di crescita “globale” della persona ha affrontato in modo diretto e coraggioso questo tema. 
                      Nella pratica è interessante vedere come molte delle attenzioni e stili di vita quotidiani dello Scautismo risultino utili ed “efficaci” per combattere molti dei problemi del mondo di oggi che rendono difficile ai ragazzi uno sviluppo sereno della propria affettività.


                   
 Se i problemi di oggi sono la paura di sbagliare, la competizione sfrenata, la sfiducia nel futuro e nella costruzione graduale di un progetto (compreso quello di coppia), la difficoltà a vivere il corpo con serenità, la ricerca di tante relazioni, la difficoltà ad investire davvero in alcune significative... beh ecco che attraverso il gioco, l’attività manuale, la vita all’aria aperta, l’educazione alla fatica ed alla gradualità nel raggiungimento di un obiettivo (l’impresa, la route), attraverso l’attenzione alla salute e allo stile essenziale, con la vita di comunità e la responsabilità verso gli altri ... con tutte queste attenzioni “naturali” per lo Scautismo è possibile aiutare in modo concreto i ragazzi a crescere e a costruire una immagine di sé positiva – base fondamentale per l’accettazione serena dell’altro.



Articolo di Stefano Costa -  tratto dal n.4/2013 "Proposta Educativa" (Rivista per i capi)

(L'articolo integrale potrà essere visto nel link sottostante)







venerdì 15 novembre 2013

I CAPI SCOUT DELL'AGESCI SI RADUNANO PER IL CONVEGNO FEDE: "Voi chi dite che io sia?"





«La società italiana sta vivendo mutamenti culturali profondi, che riguardano anche la fede. La famiglia non sembra più capace del primo annuncio evangelico, e anche la prospettiva multireligiosa è una novità per il Paese: sentiamo il bisogno di sperimentare linguaggi nuovi nella trasmissione della fede».

Così Marilina Laforgia, presidente del comitato nazionale di Agesci (Associazione guide e scouts cattolici italiani), spiega perché dal 15 al 18 novembre 2.500 capi scout si radunano per il convegno Ma voi, chi dite che io sia?

Qual è l’obiettivo dell’incontro?

«Aiutare i capi a stare nella complessità del cambiamento. L’urgenza è far sì che Cristo continui a interrogare i giovani di oggi».

In Italia (dati Iard) solo il 15 per cento dei giovani fra i 18 e i 29 anni si dice praticante. È proprio vero che la fede non interessa più?

«Nel nostro lavoro con bambini e ragazzi fra gli 8 e i 20 anni troviamo ancora fedi profonde, radicate. Un immenso potenziale di bene anche per il futuro della Chiesa: bisogna solo dare ai giovani occasione di esprimersi. Nei confronti dei ragazzi Agesci ha poi una grande potenzialità: siamo percepiti come un’associazione primariamente laica, anche se siamo saldamente inseriti nel tessuto ecclesiale».

Come si trasmette la fede con il metodo scout?


«Il metodo scout è esperienziale: sperimentiamo la fede con l’esperienza, attraverso la scoperta, il contatto con il creato, le relazioni e l’ascolto. Il cammino di spiritualità accompagna ogni nostra attività, tant’è che molta terminologia Agesci, dal capitolo al noviziato alla veglia, richiama la vita monastica. Utilizziamo poi la pedagogia della gioia, la forza della squadriglia in cui i più grandi aiutano i più piccoli. Ancora, la strada è l’immagine stessa della vita e del maturare gli atteggiamenti che costituiscono la vita del cristiano: il sentirsi sempre in cammino cogliendo ciò che è essenziale, il non sentirsi “padroni della propria vita” ma persone responsabili e capaci di dono, ascolto e scelta».



Vivere la fede in una dimensione comunitaria è un sostegno per i ragazzi?

«Certo, la dimensione della comunità in cammino, che è poi paradigma dell’ecclesialità, dà forza e orienta il singolo. Viceversa, il gruppo trae forza da ciascun membro».

Prevedete riti che scandiscono la vita di fede dei ragazzi?

«Ogni momento di passaggio all’interno del cammino scout ha un grande significato spirituale e di crescita interiore. La Partenza, il momento in cui il giovane decide che è pronto a lasciare la comunità e vivere in pienezza i valori della fede, della scelta politica (l’impegno come cittadini attivi) e del servizio, è esemplare. Ma anche quando, a 11 anni, il lupetto diventa esploratore, sperimenta un momento di sintesi del proprio vissuto e accoglie l’azione di Dio nella propria vita».

Quali sperimentazioni di trasmissione della fede state portando avanti?


«Ad oggi la narrazione, ovvero lo sperimentare come la fede sveli il racconto autentico della nostra vita. La Bibbia, in fondo, è la grande biblioteca della storia dell’uomo e della sua ricerca di Dio. Quando gli educatori condividono il racconto della propria fede, i giovani sentono che quanto viene narrato li riguarda direttamente. Narrando si scatena stupore, perché nella narrazione si producono nel piccolo le cose meravigliose che vengono promesse, e si sollecita la decisione, il coraggio di riorientare la propria vita».

Ad accompagnare i ragazzi sono gli assistenti ecclesiastici ma anche, e innanzitutto, i capi...

«Ci sono sacerdoti che hanno lasciato un’eredità spirituale e culturale enorme allo scautismo. Mi riferisco ad esempio a don Andrea Ghetti, protagonista dello scautismo clandestino (il fascismo impose l’abolizione dello scautismo, ma alcuni giovani portarono ugualmente avanti il proprio impegno di educatori, ndr), a don Giorgio Basadonna, che ha ideato la spiritualità della strada, e, più di recente, a don Peppe Diana, in prima linea nell’educazione e ucciso dalla camorra».

Cosa chiedete ai capi, in ambito fede?

«Di essere testimoni di speranza, persone disposte ad accrescere la propria fede e a capire come meglio suscitare la fede nelle nuove generazioni».

Come si pone Agesci nei confronti di ragazzi di altre fedi o non credenti?

«Accogliamo tutti, ma non rinunciamo all’annuncio del Vangelo».

Nel 1986 Giovanni Paolo II partecipò alla Route nazionale Rover e Scolte (17-20 anni) dei Piani di Pezza, in Abruzzo. Cosa ha lasciato quell’incontro?

«Un grande senso di appartenenza reciproca fra gli scout e la Chiesa. Ricordo il momento in cui mettemmo il fazzolettone scout al collo del Pontefice: in quel modo, simbolicamente, Giovanni Paolo II abbracciò gli scout, e gli scout confermarono il loro far parte della comunità cristiana, in un reciproco farsi carico del cammino della Chiesa».



Ad agosto 2014 si terrà una nuova Route nazionale, inviterete papa Francesco?

«Le parole di Francesco ci interpellano ogni giorno... Certo che l’abbiamo invitato, speriamo con tutto il cuore che possa esserci».


CREDERE N.33 - 17/11/2013
Testo di Laura Bellomi
Foto di Francesco Caocci